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Riassunto – Canto 33° – Inferno – Divina Commedia

Il peccatore intento a rodere il cranio del compagno narra la sua storia e illustra i motivi del suo gesto bestiale: è il conte Ugolino della Gherardesca, podestà di Pisa dopo la sconfitta della Meloria (1284), accusato di essersi accordato con la parte guelfa e di aver ceduto dei castelli di proprietà comunale ai rivali lucchesi, per questo imprigionato insieme ai suoi quattro figli nella torre della fame dall’arcivescovo ghibellino Ruggieri degli Ubaldini, di cui ora si ciba per l’eternità. Il racconto di Ugolino è dettagliato solo riguardo alla prigionia e alla morte per fame dei suoi figli, preceduta dall’offerta al padre di cibarsi di loro. Dante commenta il racconto con una dura invettiva contro Pisa, novella Tebe, carnefice anche dei figli innocenti. Quindi con Virgilio entra in Tolomea, la terza regione di Cocito, dove giacciono supini i traditori degli ospiti, le cui lacrime ghiacciate formano una visiera sugli occhi. Dante avverte la presenza di un vento di cui chiede ragione a Virgilio, ma la guida rimanda la risposta a quando la causa sarà visibile. Con una promessa che poi non mantiene, Dante induce a parlare il frate godente Alberigo dei Manfredi, che spiega come le anime dei traditori degli ospiti vengano mandate in Tolomea ancor prima della morte dei corpi, nei quali vengono sostituite da un demonio: l’esempio è fornito dal suo compagno di dannazione, il genovese Branca Doria assassino del suocero Michele Zanche, che al momento della finzione narrativa era ancora vivo. Il canto si chiude con una dura invettiva contro i genovesi.

Fonti: italica.rai.tv

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